L'Arena Clic sabato 03 marzo 2012 – SPORT – Pagina 62
MONDO SOLIDALE. Nel team ci sono atleti plurimedagliati come Macchi,
due volte campione del mondo, e Triboli,
medaglia d´oro alle Paralimpiadi di Pechino
«Un giorno mi reco da un fornitore, in un´officina
meccanica. Su un bancone noto uno strano
aggeggio simile ad un triciclo. Gli chiedo che
cosa sia. Quando mi dice che è una bici per
disabili, un handibike, rimango basito... mi
fermo un attimo e penso che siamo tutti legati
ad un filo e che basta veramente poco per
cambiarti la vita. Beh... quel giorno è cambiata
anche la mia».
Piergiorgio Giambenini è un uomo che ha avuto
molto: è un imprenditore di successo; ha una
moglie in gamba al suo fianco, saggia
consigliera e madre di due splendidi figli; si è
guadagnato la stima e il rispetto di tutti; ha
la gratificazione del benessere. Ce ne sarebbe
abbastanza per fermarsi lì invece no... Quel
giorno gli si è accesa una spia ed il suo
pensiero è andato a chi, vittima di un incidente
stradale o di una malattia crudele, è in cerca
della forza necessaria per ricominciare daccapo
e dare un nuovo senso alla propria vita. Quel
giorno si è illuminato e ha sentito il bisogno
di fare qualcosa di diverso, di rendersi in
qualche modo utile. E così è stato.
Piergiorgio, quando e come è nata la GSC?
«Già dagli anni ottanta io e mia moglie Laura
siamo impegnati nel sociale, dove abbiamo
vissuto esperienze indimenticabili. Sono un
grande appassionato di ciclismo, disciplina che
ho sempre praticato sin da ragazzo. L´idea del
connubbio tra sport e solidarietà mi
affascinava: così nel 2004 abbiamo fondato la
squadra di Handbike GSC Giambenini. Siamo
partiti con cinque atleti. Ora siamo in sedici.
Con noi ci sono anche campioni plurimedagliati
del calibro di Fabrizio Macchi, due volte
campione del mondo a cronometro su strada nel
2009 e 2010, e Fabio Triboli, oro nella prova in
linea su strada alle Olimpiadi di Pechino 2008.
Due fuoriclasse nella vita prima che sulla bici.
Con voi c´è anche un certo Alex Zanardi...
«Tramite l´amicizia con il compianto Franco
Ballerini, ho conoscuto Alex, un uomo
straordinario. È tesserato con noi da quattro
anni: con la sua eccezionale carica di umanità
ha dato un contributo enorme a tutto il
movimento. Lui, Fabrizio, e Fabio si stanno ora
preparando per i Giochi di Londra con grande
dedizione e spirito di sacrificio. Ogni loro
successo è un messaggio di grande efficacia per
la sensibilità di chi è lontano da queste
problematiche ed una dose di carica vitale per
chi invece è a casa su una sedia a rotelle. Sono
gli ambasciatori di una grande comunità e ne
sono consapevoli.
Quali sono i valori attorno ai quali vi
stringete?
«L´amicizia è il valore assoluto. Il legame tra
di noi è solidissimo. Questi atleti hanno
motivazioni e tenacia fuori dal comune. Ti
trasmettono una serenità che è difficile
spiegare. Li sento come dei figli: quello che
faccio per loro è niente in confronto alle
emozioni che mi fanno vivere. Lo trovo molto
educativo per me, per la mia famiglia, e per chi
ci sta vicino. Gelosie ed invidie, così comuni
negli sport dei normodotati, non abitano da
queste parti. Ho appena ricevuto il Premio
Cangrande per il nostro impegno solidale:
una grande soddisfazione per tutti ma
soprattutto per loro, i miei ragazzi.
Progetti?
«Stiamo collaborando con Polizia stradale e
municipale per parlare di sicurezza sulle strade
e portare le testimonianze dei nostri atleti
nelle scuole. Con l´aiuto del Comune di Verona e
della Regione Veneto, il 29 Luglio porteremo una
tappa del Giro d´Italia Handbike a Verona sotto
il patrocinio dell´Uci. Arrivo e partenza in
Corso Porta Nuova; premiazoni e festa alla Gran
Guardia. Sarà una grande giornata di sport e
solidarietà. Aspettiamo un segnale forte dai
veronesi.
State facendo uno sforzo notevole. Vuoi lanciare
un appello?
«Le istituzioni ci danno una grossa mano. Io e
l´amico Stefano Bendinelli vorremmo tuttavia
trovare nuovi compagni di viaggio che sposino il
nostro progetto. Il nostro obiettivo è arrivare
a trenta atleti: per centrarlo servono altri
sponsor. Certo, la crisi in corso non aiuta, ma
non deve essere assolutamente un alibi. L´Italia
non ha ancora maturato una cultura adeguatamente
sensibile alla questione dei disabili. Qualcosa
si sta facendo, ma non abbastanza».